“Linee a binario unico, treni con frequenze a dir poco irrispettose dei cittadini; risorse economiche inadeguate a rendere più competitivo il mezzo pubblico su ferrovia rispetto a quello privato su strada; ritardi nella riattivazione di linee ferroviarie interrotte, sospese o abbandonate; un confronto impietoso rispetto ai principali Paesi europei nei numeri sulle linee metropolitane e tranviarie in ambito urbano. È davvero ancora troppo lenta la transizione ecologica del settore dei trasporti nel nostro Paese”.
Una foto impietosa, quella scattata da Legambiente nel suo Rapporto Pendolaria 2023 – pubblicato nelle scorse settimane – che evidenzia un deficitario stato di salute della mobilità su ferro nel nostro paese.
Complessivamente, il quadro dei ritardi che emerge, è preoccupante: le nostre metropoli hanno infatti tutti i problemi dell’era precedente alla pandemia da Covid-19. Ci ritroviamo ancora con le stesse problematiche di invivibilità e insalubrità delle grandi città italiane, con inquinamento urbano alle stelle in diversi capoluoghi, sostanziale immobilità del traffico cittadino conseguenza del numero record di veicoli privati in circolazione (672 auto ogni 1.000 abitanti, quasi il 30% in più rispetto alla media di Francia, Germania e Spagna), e numeri da record sui danni alla salute da smog (più di 52.000 decessi annui da PM 2,5, pari a 1/5 di quelli rilevati in tutto il continente europeo).
Nessun miglioramento (in alcuni casi addirittura un peggioramento) delle condizioni degli oltre 3 milioni di pendolari che quotidianamente utilizzano negli spostamenti casa-lavoro.
In questa penombra un flebile barlume si intravede nel leggero miglioramento per quanto riguarda il ritorno al treno, dopo la tragica parentesi della pandemia, e sull’incremento dell’offerta: “il 2022- si legge nel rapporto – ha visto un ritorno dei passeggeri sui treni nazionali e regionali dopo oltre due anni di calo, dovuto alle disposizioni e restrizioni in contrasto alla pandemia e alle preoccupazioni dei cittadini. Trenitalia ha dichiarato un aumento complessivo di oltre il 40% dei passeggeri rispetto al 2021, con punte del 110% per quelli ad Alta Velocità; il numero di treni regionali in servizio, considerando tutti i gestori, è finalmente in aumento, anche se con notevoli differenze tra le Regioni (sono stati 2.788 i treni regionali in circolazione in Italia nel 2021, contro i 2.666 del 2020); grazie alle risorse europee, nazionali, regionali e di Trenitalia, attraverso i contratti di servizio, è in corso un rinnovo del parco di treni circolante: nel 2021 l’età media si è attestata a 15,3 anni, in leggero calo rispetto ai 15,6 anni del 2020 (nel 2016 era 18,6 anni). Le differenze territoriali sono evidenti: al sud i treni sono più vecchi (18,5 anni) rispetto al nord (11,9 anni).
Per quanto riguarda le infrastrutture Il ritardo italiano rispetto ad altri Paesi europei è enorme: – le linee metropolitane si fermano a 254 km totali, ben poco rispetto a Regno Unito (679 km), Germania (656) e Spagna (614). I km di metropolitane in tutta Italia sono paragonabili a quelli di città come Madrid (291,3) o Parigi (225,2); – in Italia ci sono 397 km di tranvie rispetto agli 835 km della Francia e ai 2.039 km della Germania; – l’Italia è dotata di 740 km di ferrovie suburbane, mentre sono 2.038 in Germania, 1.817 km nel Regno Unito e 1.443 in Spagna.
Serve – conclude la nota di presentazione del rapporto – fare uno sforzo aggiuntivo sulle risorse economiche fino al 2030 con nuove risorse pari a 500 milioni l’anno per rafforzare il servizio ferroviario regionale (per acquisto e revamping dei treni) e 1,5 miliardi l’anno (per realizzare linee metropolitane, tranvie, linee suburbane). Si tratta complessivamente di 2 miliardi di euro all’anno fino al 2030 per trasformare le infrastrutture delle città italiane e rendere quest’ultime finalmente moderne e vivibili con vantaggi evidenti per l’ambiente, l’economia, le famiglie, il turismo.
Qui la versione integrale del rapporto